Vocazione all’amore. Vocazione al celibato

È commovente vedere un giovane che cerca con passione la sua vocazione all’amore, e forse al celibato. Ancora di più se ciò che lo appassiona è trovare il vero amore, quell’amore che realizzerà la sua vita. Gesù ha incontrato un giovane di questo tipo. Era talmente alla ricerca del vero amore che corse a inginocchiarsi davanti a Gesù. Gli chiede ciò che ogni cuore desidera: cosa fare per ottenere la vita eterna? (cfr. Mc 10, 17).

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Essere una persona, cioè vivere invitati ad amare

La risposta di Gesù va oltre. Non si limita a rispondere come dovrebbe comportarsi chi, dopo la morte, sarà risorto e vivrà in eterno. Il Signore risponde guardando più in profondità nel cuore. Gli mostra come vivere – qui e ora, in questo mondo – un tipo di vita così piena da non desiderare altro. Un modo di vivere definitivo. Questo è ciò che Dio vuole quando propone una vocazione. Ogni vocazione – anche il celibato, naturalmente – è un invito a esistere amando.

Siamo stati creati per essere felici. Essere felice è possibile per l’uomo che riceve amore e corrisponde a queso amore. Essere una persona è essenzialmente essere chiamati a dispiegare la propria vocazione all’amore. San Giovanni Paolo II ha detto che “l’uomo non può vivere senza amore. Rimane per se stesso un essere incomprensibile. La sua vita non ha senso se l’amore non gli viene rivelato, se non incontra l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa suo, se non vi partecipa in modo vivo”[1].

Seguire liberamente la vocazione all’amore, al celibato

Questo progetto divino è reso possibile dalla nostra libertà. Se la vocazione di ogni persona è quella di amare, comprendiamo anche che non ci può essere amore senza libertà. Senza libertà non c’è amore; senza amore non c’è felicità. Per questo possiamo anche dire che si diventa felici liberamente.

Ogni persona può essere felice liberamente, ma essendo esseri limitati, nessuna creatura può raggiungere la felicità. Quest’ultimo aspetto non è così evidente ed è ancora più offuscato dalla cultura odierna. Forse questa risposta può lasciare qualcuno perplesso o disincantato. Ma è la verità centrale della nostra esistenza, se illuminata dalla fede.

Siamo creature e non siamo in grado di fornire a noi stessi la piena felicità a cui aspiriamo. Lo si nota quando nel cuore nascono grandi e ambiziosi desideri di realizzazione, di bene, di bellezza, di trascendenza. Aspirazioni a cui non potrebbe arrivare con i propri mezzi. Il cuore umano ha desideri che sono, in un certo senso, infiniti. Ed è impossibile per lui solo, essendo una creatura limitata, soddisfarli.

Il nostro Padre Dio conosce perfettamente questi desideri infiniti: non solo li conosce, ma li ha posti nel nostro cuore come forza essenziale che ci spinge. Abbiamo, perché siamo uomini, una chiamata all’infinito. L’unico infinito è Dio, che ci ama incondizionatamente. Quando lo amiamo liberamente, gli apriamo le porte della nostra piccolezza. Allora riceviamo l’infinita pienezza della sua intimità. Questo sarà definitivo in Paradiso, anche se già con un buon anticipo su questa terra.

Perché abbiamo bisogno della vocazione?

Perché Dio deve darmi una vocazione, a cosa mi serve? Queste domande hanno a che fare con la vocazione alla felicità che si realizza nell’amore. La vocazione – qualunque essa sia – è il modo di vivere questa vita che Dio ci propone e che realizzerà più pienamente quei desideri senza limiti che abbiamo nel cuore.

Accettare che abbiamo bisogno di una vocazione data da Dio nasce dalla fede e ci dà la libertà. Una fede che porta alla fiducia, perché scopre in Dio e nei suoi progetti Qualcuno Buono, Onnipotente e Padre. Questa stessa fede ci rende capaci di aspettare il Paradiso per vedere la piena realizzazione della nostra felicità.

Questo ci permette di assumere che questa vita terrena serve a preparare quella definitiva, e di non accontentarci di stare bene ad ogni costo. Ci rende liberi perché essere liberi significa poter scrivere la propria biografia: padroni della nostra vita e con un senso.

Non dobbiamo spaventarci se troviamo difficile accettare e accogliere questa verità. Culturalmente, non è facile per noi ammettere che l’opzione migliore per la nostra vita è lasciarla nelle mani di un altro e aspettarci di ricevere felicità da quell’altro. Chiunque sia quell’altro, anche se è Dio. Sembra contrario al nostro essere dipendere da un altro, anche quando questo altro è un Padre, fonte di ogni bontà e di un amore assolutamente disinteressato.

Siamo figli liberi di amare

È difficile riconoscere che siamo essenzialmente bambini: dipendiamo nella nostra origine da qualcuno diverso da noi. È anche per questo che è così difficile per noi comprendere la felicità come qualcosa che ci viene dato in dono. Portiamo nel nostro DNA l’idea che se non facciamo della nostra vita ciò che vogliamo, in modo totalmente autonomo, stiamo sabotando la nostra felicità.

Essere liberi significa proprio non lasciarsi limitare dalla propria finitudine. Ecco perché la stessa libertà che si desidera come schiavo è quella di cui si gode come figlio. È libero chi supera la propria condizione di schiavo.

La libertà si rafforza e si espande quando viene vissuta come figlio. Essere amati da Dio e amarlo liberamente sono i due remi che ci portano alla felicità. La vocazione è la via attraverso la quale, per ciascuno, si realizza al meglio questo dono di sé, che articola il senso della propria vita.

Dio sceglie me e io scelgo Dio

Approfondendo la realtà soprannaturale della vocazione, possiamo chiederci: allora cosa è più importante: la chiamata di Dio o la libera scelta dell’individuo? Non sono due dimensioni opposte, non si escludono a vicenda, ma si richiamano a vicenda: la proposta di Dio, che nasce dal suo Amore di Padre, e la libera risposta della persona, che si dona come figlio.

“C’è un progetto di Dio per ciascuno di noi; ma non siamo ‘programmati’: sarebbe abbassare Dio alla nostra scarsa altezza. Noi possiamo solo programmare le cose senza il libero arbitrio, e non sempre ci riusciamo; Dio, invece, è in grado di spingere la nostra libertà senza violarla. Dio governa la storia umana fin nei minimi dettagli; ma la storia dipende anche dalla libertà umana. (…) Anche la vocazione personale, il progetto di Dio su ciascuno di noi conta sulla nostra libertà. Ognuno deve scoprirlo mettendo in gioco le proprie risorse. Dio non si impone: dà degli indizi, accenna a un percorso, fa un invito.

“La risposta umana alla vocazione non si riduce alla semplice accettazione di un disegno divino, che si presenta sempre in modo inequivocabile ed evidente; penso che la libera risposta alla vocazione sia in qualche modo costitutiva della vocazione stessa”[2].

Complementarietà e armonia nella vocazione all’amore e nella vocazione al celibato

Si può, pertanto, concludere: “Esiste una complementarietà e un’armonia tra la scelta del Signore – “Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi” (Gv 15,16) – e la libera scelta della persona, alla quale Dio ha dato la libertà proprio perché la usi, scegliendo il massimo bene possibile. Si può quindi dire che Dio subordina in qualche modo la sua scelta e la sua chiamata alla scelta che la persona fa di Lui. Come a dire che Dio sceglie colui che lo sceglie[3].

Ciò che Dio desidera con la vocazione è al polo opposto dell’imposizione. È una proposta che, come un buon seme, attende di cadere nel buon terreno del cuore di un figlio di Dio, fiducioso e liberamente desideroso di unirsi all’illusione del Padre. “Dio vuole che l’uomo partecipi attivamente alla propria vocazione, senza ridursi ad aspettare passivamente che Dio gliela faccia “vedere”[4].

Questo è il progetto che Gesù ha proposto al giovane che, inginocchiato davanti a Lui, non è riuscito a cogliere. Il Vangelo dice che era molto ricco[5]. Tuttavia, se non si vive con un grande amore, nessuna ricchezza potrà soddisfare. Il Signore volle proporgli il modo per concretizzare nella sua vita questo desiderio di grande amore.

La vocazione al celibato, lo stesso cammino con diversi camminatori

Il Signore concede il dono del celibato per il Regno dei Cieli a persone di diverso status all’interno della Sua Chiesa. È lo stesso dono che viene vissuto in modo comune nella sua essenza, anche se le funzioni o i servizi che Dio chiede a ciascuno sono molto diversi. Il celibato può essere vissuto nello stato laicale, nel ministero sacerdotale e nello stato religioso.

Per molti secoli è stata intesa come qualcosa di riservato ai sacerdoti e ai religiosi, ma poiché è un dono di Dio e non un requisito legato a un particolare stato di vita, anche i laici possono goderne[6].

La forma più manifesta di celibato nella Chiesa[7] è quella dei ministri ordinati: il celibato sacerdotale vissuto da vescovi, sacerdoti e laici (che si preparano al sacerdozio).

Un altro modo di vivere il celibato è quello dei religiosi, la cui vocazione li chiama a professare pubblicamente i consigli evangelici (obbedienza, castità e povertà), dando pubblica testimonianza del destino definitivo dell’uomo: vivere esclusivamente unito a Dio per l’eternità. Il celibato ha così un carattere testimoniale ed escatologico.

La vocazione all’amore e al celibato nei laici

Il laico, invece, vive il suo celibato per il Regno dei Cieli come un rapporto personale di amore esclusivo per Gesù Cristo, come risposta a un dono ricevuto da Dio. Non ha un senso pubblico come nel caso dei religiosi. Il laico è colui che si santifica essenzialmente occupandosi degli affari temporali, unendoli a Dio, al pari delle altre persone comuni, dalle quali nulla lo distingue o lo separa[8].

È lo stesso sentiero con modi diversi di percorrerlo. Ciò che accomuna questa strada percorsa da laici, sacerdoti e religiosi è che viene percorsa in risposta a un’iniziativa divina – non sei tu che hai scelto me, ma sono io che ho scelto te [9] – volta a realizzare la vocazione personale all’amore e che porta con sé una particolare forza di fecondità spirituale, costituendo un modo per affidare e soddisfare i desideri umani di maternità o paternità.

Il celibato: un modo per essere liberi di amare Dio in modo esclusivo

L’Incarnazione ha segnato una grande novità nei modi di vivere il cammino vocazionale. Si potrebbe dire che Gesù Cristo ha inaugurato il celibato “per il Regno dei Cieli”. Prima della sua venuta, la verginità era considerata una vergogna o, almeno, una situazione indesiderabile.

Si attendeva la nascita del Messia e, pertanto, ogni matrimonio fruttuoso apriva una possibilità per quella venuta[10]. Esistevano altre forme di vita celibe. Al di fuori della tradizione ebraica, queste si basavano principalmente sui principi stoici, come stile di vita che avrebbe dato una maggiore indipendenza dall’influenza delle passioni.

Tra gli stessi ebrei esistevano forme di celibato come nel caso degli Esseni[11] e una particolare forma di consacrazione chiamata nazirita[12]. I sacerdoti, invece, erano tenuti ad astenersi dai rapporti sessuali prima di offrire sacrifici[13]. Tuttavia, queste forme di celibato avevano un fondamento diverso da quello inaugurato nella Nuova Alleanza da Gesù stesso.

La vocazione all’amore e al celibato con l’incarnazione di Gesù Cristo.

La novità dell’annuncio dell’Angelo Gabriele a Maria è grande. Apre anche un significato diverso alla verginità e al celibato. Gesù dà inizio a un nuovo modo di vivere sulla terra, divino e umano allo stesso tempo, proprio perché è Dio-Uomo. E dalla novità che Gesù porta, prima gli Apostoli e poi molti cristiani fin dai primi tempi, vivranno il celibato come un dono pieno di significato.

Il celibato di Gesù non è definito da alcun motivo funzionale, come avere più tempo per viaggiare per le città predicando, o non avere l’impegno di prendersi cura di una casa. Né è dovuto a un’esigenza ministeriale, poiché Egli è anteriore a tutti i ministeri della Nuova Alleanza e l’origine stessa del nuovo sacerdozio.

Allo stesso modo, il suo celibato non si basa sul distacco dal mondo, poiché Gesù è venuto nel mondo per salvarlo dall’interno, essendo uno tra gli uomini, assumendo tutto ciò che è umanamente nobile per ricapitolarlo riportandolo al Cuore di Dio.

Si basa, quindi, su un modo particolare di vivere questa relazione filiale: l’immagine del Figlio che Gesù ha rivelato incarnandosi è l’ideale a cui ogni uomo è chiamato, il fondamento su cui è stato creato e il modello della relazione definitiva che avremo con Dio in cielo.

Pertanto, il celibato, in qualsiasi sua forma (laica, ministeriale o consacrata), trova la sua ragione profonda in quella di essere scelto per una particolare relazione di figli che amano il loro Padre Dio con una libertà speciale, senza passare attraverso altri amori esclusivi.

Vocazione all’amore e al celibato in piena libertà

Celibe deriva da ceibe, che significa libero. Non significa che il matrimonio sia una schiavitù, né che il celibato sia sinonimo di assenza di impegno. Diremmo che il celibe è colui al quale Dio ha fatto il dono di amarlo direttamente, senza intermediari.

Dall’incarnazione, Dio ama e vuole essere amato anche in modo umano, con il Suo cuore umano e con il nostro cuore umano. Per questo motivo, da quando Dio si è fatto uomo, una delle vie umane della vocazione all’amore è quella di amarlo direttamente e di ricevere direttamente il suo Amore.

“La verginità -dice Papa Francesco- ha il valore simbolico dell’amore che non ha bisogno di possedere l’altro, e riflette così la libertà del Regno dei Cieli”[14]. Il celibato dà la libertà di poter offrire le proprie energie in senso universale, prima a Dio e poi a tutti coloro che la Provvidenza mette in qualche modo sul nostro cammino.

Questo modo di vedere il celibato come una peculiare imitazione della figliazione di Gesù è quello che la Chiesa ha assunto fin dai primi secoli. Tra primi seguaci di Cristo il celibato “per il Regno dei Cieli” era abituale, anche tra i semplici fedeli[15]. Era considerato una delle principali testimonianze di amore per Dio, seconda solo al martirio[16].

Vocazione all’amore e al celibato: un percorso proposto da Dio per essere felici

Concludendo ora le considerazioni che facevamo prima, possiamo dire che la vocazione è un percorso disegnato da Dio per essere felici e portatori di una vera e meravigliosa fecondità. Questo è il quadro in cui si spiega ogni vocazione soprannaturale, sia al celibato che al matrimonio.

La vocazione non può essere compresa se non viene scoperta come un vero e proprio dono, come un regalo. Non è un’imposizione della volontà divina, una volontà alla quale nessuno che voglia essere buono dovrebbe resistere. Non è nemmeno un’onorevole scelta personale segnata da un’eroica rassegnazione.

Le aspettative del percorso professionale hanno molto a che fare con l’idea di felicità che orienta la propria vita. È importante anche non dimenticare che la felicità del cielo, essendo una felicità soprannaturale – vivere in Dio – non sarebbe vera se non fosse anche una vera felicità umana.

Non è raro trovare tanti cristiani che vogliono essere fedeli che sembrano rassegnarsi a ciò che devono fare. Forse non lo affermano a livello teorico, ma sembrano rassegnati. San Josemaría dice con forza: “Sono sempre più convinto: la felicità del cielo è per coloro che sanno essere felici sulla terra”[17]. E questa felicità divina, che è anche umana, deve poter essere vissuta, goduta con gli affetti e dispiegata nella propria vocazione, anche all’amore e al celibato.

Fernando Cassol

Citazioni dall’articolo Vocazione al celibato

[1] San Juan Pablo II, Enc. Redemptor Hominis, 10.

[2] Ocáriz, F., Sobre Dios, la Iglesia y el mundo, Ed. Logos, Rosario (2013), 123.

[3] Ugarte Concuera, F., ¿Puedo elegir mi vocación?, Ed. Logos, Rosario (2014), 22.

[4] Idem, 23.

[5] Cfr. Lc 18, 23.

[6] Fin dai primi tempi del cristianesimo ci furono uomini e donne che abbracciarono la vocazione al celibato e seguirono questa strada. Gli uomini erano solitamente chiamati asceti o continenti, mentre le donne erano chiamate vergini. Sebbene fosse una pratica originale, con l’emergere e il diffondersi del monachesimo all’inizio del IV secolo, il celibato vissuto dai cristiani comuni in mezzo al mondo è praticamente scomparso e ha cessato di essere considerato anche dal punto di vista teologico. Questa situazione è cambiata nella prima metà del XX secolo, con il generale ritorno alle fonti del cristianesimo. Lì, questo percorso di celibato laico ha cominciato a essere nuovamente stabilito nelle istituzioni della Chiesa, come nel caso dell’Opus Dei. Cfr. Touze, L., voz celibato, en Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Ed. Monte Carmelo – Instituto Histórico San Josemaría Escrivá de Balaguer, 3° ed., Burgos (España), 2015, 224.

Celibato sacerdotale nella Chiesa cattolica orientale

[7] Ci riferiamo al rito latino. Nella Chiesa cattolica orientale il celibato non è un requisito per i sacerdoti. Essi possono sposarsi prima di essere ordinati al sacerdozio. D’altra parte, solo i sacerdoti che hanno scelto volontariamente il celibato hanno accesso all’episcopato. Le ragioni di questa disciplina sono multisecolari e si basano su varie situazioni storiche.

[8] Per una riflessione sulla differenza tra celibato sacerdotale, religioso e laico, Cfr. Leonardi, M., Como Jesús, Palabra, Madrid (2015), 79-93.

[9] Cfr. Gv 15,16.

[10] Cfr. Garcia-Morato, J. R., Creados por amor, elegidos para amar, Eunsa, Pamplona (2005), 51-52.

[11] Gli Esseni erano i seguaci di una setta ebraica che praticava l’ascetismo, il celibato e la comunità dei beni e osservava con zelo i precetti della Torah, la Legge mosaica.

[12] Si tratta di una forma di consacrazione di un uomo o di una donna ebrei a Yahweh, attraverso un voto di adempimento di una serie di precetti di vita. Chi veniva consacrato con questo voto era chiamato nazirita o nazarita. Le prescrizioni da seguire sono narrate in Num 6.

[13] Cfr. Leonardi, M. Como Jesús, Palabra, Madrid (2015), 93-98.

[14] Papa Francisco, Exhort. Apost. Amoris Laetitia, n. 161.

[15] Per un breve riassunto storico dei diversi modi di vivere il celibato, si veda Leonardi, M., Como Jesus, Palabra, (2015), 75-79.

[16] Cfr. Garcia-Morato, J. R., Creados por amor, elegidos para amar, Eunsa, Pamplona (2005), 53.

[17] Forgia, n. 1005.

Fernando Cassol
Fernando Cassol
Fernando Cassol es sacerdote de la Prelatura del Opus Dei. Ejerce su ministerio en Buenos Aires (Argentina). Graduado en Ciencias Económicas se especializó en Filosofía, en la Universidad de la Santa Cruz (Roma). Su tarea principal se centró en la formación y acompañamiento espiritual de jóvenes, trabajando en particular con los que comenzaban su camino vocacional en el celibato.

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